In questi giorni e ore del drammatico riacutizzarsi del conflitto israelo-palestinese, con la guerra russo-ucraina in atto da molti mesi andata sullo sfondo nella comunicazione dei media, noi Psicologi per i Popoli Lazio, in qualità di professionisti del benessere mentale (oltre che come persone) desideriamo evidenziare che:

  • le grandi catastrofi che ricadono sulle persone costituiscono sempre un trauma di significativa entità per
    chi li subisce, ma la gravità delle sofferenze dovute alle scelte degli uomini riveste un carattere speciale,
    che si imprime con forza anche nelle generazioni successive delle vittime;
  • le guerre contemporanee si vanno a caratterizzare sempre più – realtà da molti anni segnalata da esperti
    del settore e ora di drammatica evidenza – per l’uso di armi a distanza, che colpiscono poco il soldato
    nemico e molto le comunità civili dell’altra fazione
    , ovvero il fulcro vitale delle società che comprende
    bambini, donne e vecchi;
  • in questi scenari perde totalmente di senso -semmai ne sia mai esistito uno! – parlare di vincitori e vinti;
    le correnti di disperazione, terrore, odio, ferocia che si generano da ambo le parti a seguito delle
    pesantissime sofferenze inflitte dal gruppo o popolo nemico conducono a faide dove gli intervalli di non
    belligeranza rappresentano solo spazi di preparazione per la vendetta successiva , e in cui qualsiasi
    pensiero di pacificazione non trova il minimo spazio, il minimo diritto all’esistenza;
  • è fondamentale, dal nostro punto di vista, affermare con forza che questo tipo di conflitto costituisce
    pura FOLLIA: l’idea di non riconoscere il diritto all’esistenza dell’altro, soprattutto quando “ vicino di
    casa”, l’ idea di eliminare fisicamente altri uomini percepiti come nemici, con le loro famiglie,
    annientando insieme la loro cultura, rappresenta una vera psicosi collettiva, ancora più grave proprio in
    quanto notevolmente estesa e condivisa;
  • è impossibile prendersi cura della follia nei suoi momenti più acuti e agitati entrando frontalmente e
    simmetricamente nella sua logica; nei momenti di agitazione bisogna operare ogni azione possibile di
    contenimento
    , per intervenire poi con altri strumenti a favore di migliori probabilità di efficacia nelle fasi
    di attenuazione e remissione;
  • in questo scenario, prendere posizione per una fazione a sfavore dell’altra da parte di chiunque non è
    direttamente coinvolto, non fa che incrementare la divisione moltiplicando le possibili aree di
    conflittualità e belligeranza; una convinta azione che condanni e ostacoli in maniera incondizionata la
    violenza distruttiva di qualsivoglia partecipante al conflitto, deve costituire la regola comportamentale
    delle altre nazioni; peraltro considerare conclusa la loro funzione appena la tensione si abbassa lascia del
    tutto irrisolto il nucleo della patologia collettiva. Da affrontare nei momenti favorevoli con la ricerca di
    una vera costruzione di convivenza possibile, con equità distributiva di territori e risorse;
  • il ruolo della politica internazionale è evidentemente centrale, ma nondimeno lo è l’evoluzione delle
    coscienze individuali di tutti
    , in direzione del riconoscimento vivo che l’altro che costituisce problema
    per la mia esistenza quotidiana, è a pieno titolo parte della mia realtà più profonda.